Il mio è stato un modo di fare scuola che ha cercato di coniugare il “sapere” con il “saper fare” e l’apprendimento con il divertimento.
“La scuola non è attrezzata per l’allegria: la gioia va strappata a viva forza” – affermava Majakovskij agli inizi del ‘900. Oggi la situazione non è molto cambiata. Eppure la capacità di apprendimento si basa sulle risorse positive del bambino, cioè sull’autostima e su quelle forze che scaturiscono dai suoi desideri e dalle sue emozioni. L’apprendimento non “funziona” senza le emozioni: si potrebbe dire che i bambini ragionino con gli affetti e vanno affascinati, perché apprendono per fascinazione.
La scuola in cui si va con piacere è, allora, quella dove c’è posto per la mente (che impara a conoscere il pensiero degli altri e fa emergere il proprio), ma anche per il corpo (“il bambino pensa operando”(1), “la cognizione si costruisce grazie all’esperienza motoria” (2), e dove c’è posto per le emozioni (“la mente non si dischiude se prima non si è aperto il cuore” (3); dove si valorizzano le esperienze che i bambini già possiedono e si dà spazio alla comunicazione e alla creatività.
Educare alla creatività vuol dire, come tutti sanno, permettere a ognuno di valorizzare se stesso attraverso l’espressione della propria originalità, ma vuol dire anche educare alla diversità: una didattica in cui si promuovano atteggiamenti creativi permette che si guardi alle cose sotto l’aspetto dell’alterità e della novità; così l’altro, e il diverso, non solo non respingono ma attraggono, le cose e le persone non sono nemiche e il mondo viene vissuto come un oggetto da scoprire.
È per questi motivi che la scuola deve essere strutturata e vissuta come un laboratorio, in cui le cose “si fanno” (come i giocattoli che costruivamo ogni lunedì), perché “il fare” riconosce e restituisce alle cose il loro valore (acquista infatti “valore”, ai nostri occhi, solo ciò che ci è costato tempo e impegno).
Ma la scuola deve anche essere in grado di offrire ai bambini gli strumenti adatti: dare strumenti implica dare “relazioni”, perché gli strumenti presuppongono il “fare con” gli altri. Si tratti di un video da realizzare, della costituzione di una cooperativa di bambini, di un telegiornale da produrre a scuola o della pubblicazione di un mini libro, ciò che conta soprattutto è il fatto che questi strumenti e queste attività condizionano il modo di lavorare di un gruppo, forniscono un obiettivo comune e costringono a una gestione e a una presa di responsabilità collettiva. È proprio l’organizzazione del lavoro, con la suddivisione di compiti e responsabilità che tali impegni esigono, ciò che conta veramente.
In questo modo la scuola, oltre a far sentire i bambini “protagonisti” (il che concorre alla crescita del loro senso di responsabilità), non si riduce a semplice “trasmettitrice” ma assolve una delle sue principali funzioni: essere ambiente educativo e forza viva, promotrice e produttrice di cultura.
Per la sintonia su dette tematiche (che riconoscono ai bambini il diritto al benessere psicofisico), ma anche per la condivisione di altri punti di vista quali:
- l’atteggiamento di fronte all’errore (commettere un errore non vuol dire “essere” un errore: chi ci permette di sbagliare ci riconosce il diritto all’esperienza);
- l’impegno nel contrastare il pregiudizio (una forma di pigrizia mentale che trova più comodo ragionare per categorie che sforzarsi di conoscere meglio la singola persona);
- l’importanza delle regole (che danno equilibrio a una sana accoglienza, offrono contenimento protettivo, favoriscono crescente autonomia e desiderio di realizzarsi);
- il valore che viene riconosciuto alle fiabe e alla letteratura per l’infanzia (per il loro messaggio di speranza e per quella fiducia di base di cui sanno essere concrete garanti);
offro la mia disponibilità a collaborare, convinto che lavorare oggi per e con i bambini e i ragazzi voglia dire concorrere alla loro felicità di domani.
Marco Moschini
www.marco-moschini.it
(1) – J. Piaget.
(2) – M. Montessori.
(3) – U. Galimberti.
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